Ricopre
la carica di Signore
di Notte al Criminal, la magistratura alla quale la Serenissima
Repubblica ha affidato la tutela dell’ordine pubblico, sei
giudici e insieme capi della polizia, ma non l’unica a svolgere
questo compito a Venezia. L’elenco degli organi giudiziari e di
polizia è lungo, complesso, e non mancano sovrapposizioni di ruoli
e conflitti di competenze. Infatti lo fanno anche i Signori di
Notte al Civil, gli Esecutori contro la Bestemmia, abbreviazione
di “Difensori
in foro secolare delle leggi di Santa Chiesa e Correttori della
negligenza delle medesime”,
I
Cinque alla Pace e
via via a scendere fino ai capi contrada e altri ancora.
Il
protagonista irrompe sulla scena del giallo con una sicumera
devastante, dopo essersi fatto carico delle indagini con una
leggerezza pari solo alla propria impreparazione, che
lo porterà a clamorose sconfitte prima di giungere alla soluzione
del giallo non senza infiniti turbamenti e solo grazie a
importanti aiuti.
La
sua inesperienza è dovuta principalmente a cause istituzionali, in
quanto negli apparati governativi e magistrature della Serenissima
i componenti, provenienti dal ceto aristocratico, vi restavano per
periodi di tempo limitati dalle disposizioni di legge. Questo
comportava un’incessante rotazione nei vari incarichi dalla quale
si potrebbe presumere che mancasse loro il tempo per conseguire
l’esperienza specifica riguardo ciascuna mansione. In pratica
avevano una infarinatura su tutto, ma nessuna specializzazione
particolare.
A
tappare la falla provvedeva l’enorme apparato burocratico
proveniente dalla classe cittadinesca che, a differenza dei membri
del patriziato, restava fisso nei propri ruoli e quindi acquisiva
una esperienza tale da sopperire alle mancanze di costoro. Da ciò
consegue una prima e forse principale differenza tra patrizi e
cittadini: i primi costituivano l’oligarchia al potere, mentre i
secondi, senza alcun potere decisionale, fornivano i ranghi
esecutivi dello stato. Tuttavia, forti di questo ruolo, godevano
di grande influenza della quale spesso abusavano per tornaconto
personale. Come troverete scritto nel libro: “…chi stava al timone poco sapeva di navigazione e chi sapeva non era addetto
al timone. Solo il connubio in assoluto accordo tra i due poteva
far navigare la barca.”
Prese
in mano le redini della situazione contro ogni consuetudine,
l’investigatore improvvisato non sa come muoversi e si lancia
lungo piste inconcludenti. Man mano che si accanisce su queste
tracce fasulle, emerge un uomo contraddittorio che sfoggia una
sicurezza solo apparente. In realtà, dentro di lui cova grande
incertezza, lo divorano le angosce, soprattutto lo attanaglia la
paura del fiasco e della derisione.
Il
Barbarigo è un uomo insicuro, instabile e perennemente indeciso
che cambia idea e umore da un momento all’altro. Eppure è un uomo
che vuole scovare l’assassino a ogni costo per appagare il proprio
smisurato orgoglio, un successo che intende come dovuto quale
risarcimento per la vita grama a cui si è votato da solo, un
premio che tuttavia potrebbe arrivare anche dalla sorte, perché
Francesco confida tanto nella fortuna quanto nelle sue presunte
capacità.
Affiora
anche una persona ingenua e pasticciona che si lascia invischiare
in una relazione amorosa dai contorni indecifrabili, spinto dal
pavoneggiarsi per la conquista di una bella donna e senza
avvedersi della realtà che lo circonda. Anche in questo caso non
mancano goffaggine e nuove paure, prima fra tutte quella
dell’innamoramento, perché Francesco teme l’amore e lo ritiene una
perdita delle libertà, soprattutto quella di fare i propri comodi.
Non è il prototipo dell’eroe positivo, o almeno non lo sarà fino
alla conclusione, quando almeno in parte risorgerà in un uomo ben
diverso.
La
Venezia di quei tempi è una città consapevole del suo glorioso
passato e che esce da un secolo fastoso, il Cinquecento, un
periodo di grande splendore artistico, letterario e quant’altro,
ma non altrettanto brillante dal lato politico, economico e
militare. È anche una città alle soglie di un lento e lungo
declino sebbene non privo di colpi di coda e saltuarie riscosse.
Resiste
ancora come importante piazza commerciale e finanziaria, ma non
pari a quella di prima potenza mercantile al mondo dei secoli
precedenti, perché il Cinquecento è stato anche il secolo durante
il quale le grandi scoperte geografiche hanno dirottato i traffici
lungo nuove rotte attraverso gli oceani e il Mediterraneo è
scaduto a bacino commerciale secondario. Venezia è ancora legata
all’Oriente tramite vie terrestri e non si rassegna ad accettare
il mutamento che ha sconvolto l’economia mercantile, o forse non
se ne rende conto del tutto. È ancora innamorata dell’Oriente, ma
l’amante non la ricambia più con pari ardore.
La
città produce tutta una serie di personaggi che si affacciano nel
libro nei ruoli più diversi, spesso ancora immersi nella
reminiscenza dei fasti passati. Taluni sembrano muoversi in punta
di piedi, con una circospezione perfino eccessiva, come se
vivessero quegli anni con il fiato sospeso, come fossero
consapevoli di quanto si sono lasciati indietro nella storia,
oramai perduto e irripetibile, senza sapere immaginare a cosa
vanno incontro.
Insieme ci sono sgradevoli comparizioni di uomini violenti, come i “bravi” da una parte, perché il tempo del declino è anche il loro, e gli sbirri dall’altra, distinti tra loro dai rispettivi ruoli, ma simili nella sostanza dell’agire immorale e sopraffattore.
Attorno
al protagonista agiscono figure da salotto, come l’amatissimo
fratello Gabriele, impenitente libertino e gaudente a tutto tondo,
ricchi aristocratici e nobili decaduti come i “barnabotti”
che vivacchiano di sussidi statali e del mercimonio dei propri
voti in seno al Maggior
Consiglio, cuore pulsante dello stato dove siedono per
diritto di nascita e indipendentemente dalle sostanze.
Poi
bellimbusti,
prostitute, mercanti, magistrati, artigiani e altri interpreti del
mondo veneziano, anche quello relegato tra le mura del ghetto,
cioè gli ebrei, quello degradato dei bari e dei frequentatori
delle bische, perché il gioco d’azzardo è un male compenetrato
nella società del tempo e del quale non ci si riesce a liberare. O
forse non si vuole. Non è neppure il solo vizio.
Questa
società variegata e dai contorni unici che difficilmente hanno
trovato pari altrove è inquadrata nel suo contesto grazie a delle
piccole finestre che l’autore apre nel corso del racconto. Si
spazia sugli usi e costumi dei tempi, fatti storici, aneddoti,
curiosità, le grandi feste, perfino ricette culinarie e
quant’altro. Sono descritte le consuetudini, da quelle più frugali
dei popolani fino alle cerimonie fastose dei ricconi contro le
quali invano combattono i “Provveditori alle Pompe”, preposti ad
arginare il lusso.
Animano
queste brevi divagazioni i personaggi stessi del giallo, figure di
fantasia o realmente vissute che non si defilano, ma rimangono
costantemente presenti dando continuità al racconto. Assistono e
intervengono su trascorsi e no narrati come episodi della loro
vita odierna o sull’onda dei ricordi. Cosicché l’autore può
intraprendere appassionanti voli sul mondo ottomano, sui grandi
amori, sulle grandi scoperte geografiche, sul passato dell’antica
città dei dogi, sulla marineria, sulle corporazioni e altro
ancora. Il racconto si contestualizza e si arricchisce senza
perdere di vista l’intrigante trama del giallo.
Il linguaggio è spiccio, crudo, spesso beffardo e dissacratorio, perché la società del tempo non è immune da difetti e difettucci che l’autore vuole mettere in ridicolo. Grazie alle accurate descrizioni al lettore sembra di essere proprio lì dove si stanno svolgendo i fatti.
In soccorso del Signore di NotteDeterminante
al fine di svelare il mistero giunge in soccorso dello sprovveduto
un capitano delle guardie, praticamente un coprotagonista. Si
tratta di una solida figura, non solo ai fini della soluzione del
caso, ma anche per il ruolo che assume nel mitigare le
intemperanze del Signore di Notte, consigliarlo al meglio,
talvolta perfino educarlo alla vita. Ci riuscirà.
Un
altro importante aiuto sarà quello del podestà di Murano, dove si
trasferisce buona parte della narrazione senza tuttavia che
l’isola dei vetrai scalzi mai Venezia dal suo ruolo di sfondo alla
vicenda, un ruolo che alla fine assurgerà a protagonista globale
del racconto.
Così,
passando tra disastri e colpi di scena, compreso un paio di
agguati ai quali scampa miracolosamente, poco a poco il ruolo del
Barbarigo si zittisce ridotto quasi a comparsa accodata ai
soccorritori. Insieme riusciranno ad arrivare alla soluzione del
giallo, una soluzione sorprendente e in parte conseguita per caso,
come se quella fortuna nella quale ha tanto confidato Francesco si
fosse mossa in suo soccorso.
Nel finale della storia i suoi stessi insuccessi e i consigli di chi gli è stato amico avranno insegnato al Signore di Notte a stare al mondo.