immagine di testa per pagine del sito il signore di notte

immagine magistrati veneziani nela sala dei censori a palazzo ducale

Il Signore di Notte: il contesto storico del racconto


L’omicidio di un nobile sull’orlo della rovina, prima vittima della storia, dà al protagonista, Francesco Barbarigo, il pretesto per intromettersi nelle indagini facendosi forte dell’alterigia della sua casta e convinto di essere all’altezza del ruolo. 

Ricopre la carica di Signore di Notte al Criminal, la magistratura alla quale la Serenissima Repubblica ha affidato la tutela dell’ordine pubblico, sei giudici e insieme capi della polizia, ma non l’unica a svolgere questo compito a Venezia. L’elenco degli organi giudiziari e di polizia è lungo, complesso, e non mancano sovrapposizioni di ruoli e conflitti di competenze. Infatti lo fanno anche i Signori di Notte al Civil, gli Esecutori contro la Bestemmia, abbreviazione di “Difensori in foro secolare delle leggi di Santa Chiesa e Correttori della negligenza delle medesime”, I Cinque alla Pace e via via a scendere fino ai capi contrada e altri ancora. 

Il protagonista irrompe sulla scena del giallo con una sicumera devastante, dopo essersi fatto carico delle indagini con una leggerezza pari solo alla propria impreparazione, che lo porterà a clamorose sconfitte prima di giungere alla soluzione del giallo non senza infiniti turbamenti e solo grazie a importanti aiuti.

Patrizi e cittadini



La sua inesperienza è dovuta principalmente a cause istituzionali, in quanto negli apparati governativi e magistrature della Serenissima i componenti, provenienti dal ceto aristocratico, vi restavano per periodi di tempo limitati dalle disposizioni di legge. Questo comportava un’incessante rotazione nei vari incarichi dalla quale si potrebbe presumere che mancasse loro il tempo per conseguire l’esperienza specifica riguardo ciascuna mansione. In pratica avevano una infarinatura su tutto, ma nessuna specializzazione particolare.

A tappare la falla provvedeva l’enorme apparato burocratico proveniente dalla classe cittadinesca che, a differenza dei membri del patriziato, restava fisso nei propri ruoli e quindi acquisiva una esperienza tale da sopperire alle mancanze di costoro. Da ciò consegue una prima e forse principale differenza tra patrizi e cittadini: i primi costituivano l’oligarchia al potere, mentre i secondi, senza alcun potere decisionale, fornivano i ranghi esecutivi dello stato. Tuttavia, forti di questo ruolo, godevano di grande influenza della quale spesso abusavano per tornaconto personale. Come troverete scritto nel libro: “…chi stava al timone poco sapeva di navigazione e chi sapeva non era addetto al timone. Solo il connubio in assoluto accordo tra i due poteva far navigare la barca.”

Un uomo contraddittorio

Prese in mano le redini della situazione contro ogni consuetudine, l’investigatore improvvisato non sa come muoversi e si lancia lungo piste inconcludenti. Man mano che si accanisce su queste tracce fasulle, emerge un uomo contraddittorio che sfoggia una sicurezza solo apparente. In realtà, dentro di lui cova grande incertezza, lo divorano le angosce, soprattutto lo attanaglia la paura del fiasco e della derisione.

Il Barbarigo è un uomo insicuro, instabile e perennemente indeciso che cambia idea e umore da un momento all’altro. Eppure è un uomo che vuole scovare l’assassino a ogni costo per appagare il proprio smisurato orgoglio, un successo che intende come dovuto quale risarcimento per la vita grama a cui si è votato da solo, un premio che tuttavia potrebbe arrivare anche dalla sorte, perché Francesco confida tanto nella fortuna quanto nelle sue presunte capacità.

Affiora anche una persona ingenua e pasticciona che si lascia invischiare in una relazione amorosa dai contorni indecifrabili, spinto dal pavoneggiarsi per la conquista di una bella donna e senza avvedersi della realtà che lo circonda. Anche in questo caso non mancano goffaggine e nuove paure, prima fra tutte quella dell’innamoramento, perché Francesco teme l’amore e lo ritiene una perdita delle libertà, soprattutto quella di fare i propri comodi. Non è il prototipo dell’eroe positivo, o almeno non lo sarà fino alla conclusione, quando almeno in parte risorgerà in un uomo ben diverso.

La Serenissima tra grandezza e declino

La Venezia di quei tempi è una città consapevole del suo glorioso passato e che esce da un secolo fastoso, il Cinquecento, un periodo di grande splendore artistico, letterario e quant’altro, ma non altrettanto brillante dal lato politico, economico e militare. È anche una città alle soglie di un lento e lungo declino sebbene non privo di colpi di coda e saltuarie riscosse.

Resiste ancora come importante piazza commerciale e finanziaria, ma non pari a quella di prima potenza mercantile al mondo dei secoli precedenti, perché il Cinquecento è stato anche il secolo durante il quale le grandi scoperte geografiche hanno dirottato i traffici lungo nuove rotte attraverso gli oceani e il Mediterraneo è scaduto a bacino commerciale secondario. Venezia è ancora legata all’Oriente tramite vie terrestri e non si rassegna ad accettare il mutamento che ha sconvolto l’economia mercantile, o forse non se ne rende conto del tutto. È ancora innamorata dell’Oriente, ma l’amante non la ricambia più con pari ardore.

Personaggi

La città produce tutta una serie di personaggi che si affacciano nel libro nei ruoli più diversi, spesso ancora immersi nella reminiscenza dei fasti passati. Taluni sembrano muoversi in punta di piedi, con una circospezione perfino eccessiva, come se vivessero quegli anni con il fiato sospeso, come fossero consapevoli di quanto si sono lasciati indietro nella storia, oramai perduto e irripetibile, senza sapere immaginare a cosa vanno incontro.

Insieme ci sono sgradevoli comparizioni di uomini violenti, come i “bravi” da una parte, perché il tempo del declino è anche il loro, e gli sbirri dall’altra, distinti tra loro dai rispettivi ruoli, ma simili nella sostanza dell’agire immorale e sopraffattore.

Attorno al protagonista agiscono figure da salotto, come l’amatissimo fratello Gabriele, impenitente libertino e gaudente a tutto tondo, ricchi aristocratici e nobili decaduti come i “barnabotti” che vivacchiano di sussidi statali e del mercimonio dei propri voti in seno al Maggior Consiglio, cuore pulsante dello stato dove siedono per diritto di nascita e indipendentemente dalle sostanze.

Poi bellimbusti, prostitute, mercanti, magistrati, artigiani e altri interpreti del mondo veneziano, anche quello relegato tra le mura del ghetto, cioè gli ebrei, quello degradato dei bari e dei frequentatori delle bische, perché il gioco d’azzardo è un male compenetrato nella società del tempo e del quale non ci si riesce a liberare. O forse non si vuole. Non è neppure il solo vizio.

Finestre aperte sulla società del tempo

Questa società variegata e dai contorni unici che difficilmente hanno trovato pari altrove è inquadrata nel suo contesto grazie a delle piccole finestre che l’autore apre nel corso del racconto. Si spazia sugli usi e costumi dei tempi, fatti storici, aneddoti, curiosità, le grandi feste, perfino ricette culinarie e quant’altro. Sono descritte le consuetudini, da quelle più frugali dei popolani fino alle cerimonie fastose dei ricconi contro le quali invano combattono i “Provveditori alle Pompe”, preposti ad arginare il lusso.

Animano queste brevi divagazioni i personaggi stessi del giallo, figure di fantasia o realmente vissute che non si defilano, ma rimangono costantemente presenti dando continuità al racconto. Assistono e intervengono su trascorsi e no narrati come episodi della loro vita odierna o sull’onda dei ricordi. Cosicché l’autore può intraprendere appassionanti voli sul mondo ottomano, sui grandi amori, sulle grandi scoperte geografiche, sul passato dell’antica città dei dogi, sulla marineria, sulle corporazioni e altro ancora. Il racconto si contestualizza e si arricchisce senza perdere di vista l’intrigante trama del giallo.

Il linguaggio è spiccio, crudo, spesso beffardo e dissacratorio, perché la società del tempo non è immune da difetti e difettucci che l’autore vuole mettere in ridicolo. Grazie alle accurate descrizioni al lettore sembra di essere proprio lì dove si stanno svolgendo i fatti.

In soccorso del Signore di Notte 

Determinante al fine di svelare il mistero giunge in soccorso dello sprovveduto un capitano delle guardie, praticamente un coprotagonista. Si tratta di una solida figura, non solo ai fini della soluzione del caso, ma anche per il ruolo che assume nel mitigare le intemperanze del Signore di Notte, consigliarlo al meglio, talvolta perfino educarlo alla vita. Ci riuscirà.

Un altro importante aiuto sarà quello del podestà di Murano, dove si trasferisce buona parte della narrazione senza tuttavia che l’isola dei vetrai scalzi mai Venezia dal suo ruolo di sfondo alla vicenda, un ruolo che alla fine assurgerà a protagonista globale del racconto.

Così, passando tra disastri e colpi di scena, compreso un paio di agguati ai quali scampa miracolosamente, poco a poco il ruolo del Barbarigo si zittisce ridotto quasi a comparsa accodata ai soccorritori. Insieme riusciranno ad arrivare alla soluzione del giallo, una soluzione sorprendente e in parte conseguita per caso, come se quella fortuna nella quale ha tanto confidato Francesco si fosse mossa in suo soccorso.

Nel finale della storia i suoi stessi insuccessi e i consigli di chi gli è stato amico avranno insegnato al Signore di Notte a stare al mondo.

 

Nella foto: Magistrati veneziani, Sala dei Censori, Palazzo Ducale di Venezia, immagine tratta dal sito Conoscere Venezia
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Il Signore di Notte, un romanzo giallo nella città dei dogi
autore Gustavo Vitali
Nell'immagine di testa: spada da lato inizi secolo XVII dalla collezione di Fulvio Del Tin Armi Antiche, Maniago (Pordenone)
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