Ho fotografato questa
“vera da pozzo” alcuni anni or sono durante la ricerca di
luoghi dove ambientare il libro Il Signore di Notte. Il
pozzo è quello della corte interna di Palazzo Balbi che a
sua volta è la location dell'epilogo del thriller.
Si tratta di un
edificio rinascimentale che vanta un primato e una
curiosità. Primato: fu costruito in soli otto anni dal 1582
al 1590. Curiosità: tanta urgenza era dettata
dall'impellenza del committente, Nicolò Balbi, di trovare
una sistemazione e aveva un’ottima ragione per essere tale.
Infatti fino ad
allora i Balbi avevano vissuto in affitto. Senonché le fonti
riferiscono che un bel giorno Nicolò fu affrontato rudemente
dal padrone di casa e accusato di essere in ritardo con la
pigione. Si era trattato di una banale distrazione, ma
l’intenzione di umiliare l’inquilino da parte del locatario
era stata lampante, visti i loro rapporti già poco cordiali.
Il Balbi l'affronto se lo legò al dito. Pagò all'istante il
dovuto e diede contemporanea disdetta del contratto.
Trasferì poi la famiglia, composta solo dalla moglie Chiara
Barbaro e dalla sorella nubile Cornelia, su un “bucentoro” o
forse un “Burchiello”, comunque un naviglio di grandi
dimensioni. Nessuna preoccupazione per un’altra sorella,
suor Prudentia, sparita dietro le mura di un monastero e
della quale si stava occupando il buon Dio.
Per i veneziani
risiedere su barconi all’ormeggio anche per lunghi periodi
era una situazione abbastanza usuale. Un fatto clamoroso di
adattamento a tale vita era avvenuto durante la terribile
pestilenza tra il 1575 e il 1577. Ben ottomila, forse
diecimila, persone supposte portatrici del contagio avevano
vissuto su oltre tremila natanti ormeggiati accanto al
Lazzaretto Nuovo.
Soprattutto ai
benestanti non erano mai mancate imbarcazioni di vario tipo
e stazza e quella adibita a residenza dal Balbi doveva
essere di notevole mole tanto da oscurare la residenza
dell’odiato ex locatario. Infatti Nicolò per ritorsione
aveva ormeggiato la sua provvisoria dimora proprio davanti
alla casa del rivale, levandole la luce del sole. Nessun
cronista ha riferito se tanto fosse bastato a placare la sua
stizza.
A questo punto una
sistemazione più comoda era diventata urgente e Nicolò si
dovette decidere a metter su casa, anzi palazzo. In contrada
San Pantalon, tra Rio de la Frescada e Rio di Ca’ Foscari,
possedeva un terreno con una catapecchia così malridotta che
aveva scartato l’idea di andarci ad abitare facendola
abbattere. Il progetto del nuovo edificio era stato affidato
al trentino Alessandro Vittoria, architetto e scultore
giunto a Venezia da Trento nel 1543 per lavorare nello
studio del grande Jacopo Sansovino fino a subentrargli dopo
ventisette anni. Cosicché, quando il Balbi aveva affidato al
Vittoria la progettazione del palazzo, il trentino, ormai
maturo come architetto, si era buttato a capofitto
nell’impresa. Peraltro i grandi maestri del secolo erano
ormai passati a miglior vita e solo lui era rimasto ancora
attivo, una scelta quasi obbligata da parte del committente.
La prima pietra era
stata posata nel 1582 e nel 1590 l’edificio era pronto per
essere abitato, otto anni, un primato nell’erezione di un
palazzo a Venezia. A costruzione ultimata erano apparse
manifeste nel prospetto ispirazioni al Sansovino, quali le
sei monofore ovali del sottotetto, e al Palladio, ma anche
ad altri maestri come lo Scamozzi e Guglielmo dei Grigi.
Tradizione rispettata nei pilastri angolari a ordini
sovrapposti e svoltanti nelle facciate laterali; però alcune
novità avevano precorso i tempi suscitando critiche:
qualcuno si era azzardato a definirne una di queste
“scorretta e licenziosa”. Verosimilmente si era riferito ai
timpani ad arco o rette che rifinivano porte e finestre
laterali, interrotti da eleganti anfore e da pannocchie
stilizzate. La ricchezza dei Balbi era stata simboleggiata
dagli stemmi infilati tra composizioni di frutta con piena
soddisfazione del committente.
Tuttavia Nicolò aveva
goduto poco di quella che aveva chiamato la “ca’ granda”
perché morto a cinquantuno anni nel luglio del 1591. In
precedenza, nel 1572, aveva preso in moglie Chiara Barbaro,
matrimonio deciso con grande coraggio. Infatti Chiara si era
lasciata alle spalle una famiglia paurosamente trafitta
dalla tragedia perché suo padre Zaccaria, allora
luogotenente nell’isola di Cipro, nel 1561 era stato ucciso
insieme al figlio Daniele da Lucrezia Minio, sua moglie da
trent’anni.
Nicolò aveva nutrito
grande affetto per Chiara, un affetto misto a compassione
per la tragedia che aveva segnato la vita della consorte.
Per lo più avevano dovuto affrontare a loro volta la
sfortuna di non avere figli.
Circa il patrimonio,
sentendosi vicino alla morte, Nicolò aveva steso un
testamento meticoloso chiuso pochi giorni prima di spirare
per un non meglio precisato malanno, tanto che nei necrologi
di sanità del poveretto si era scritto “… da febre”, formula
usuale quando non si sapeva a cosa dar la colpa di un
decesso. Aveva disposto con pignoleria come suddividere beni
mobili e immobili e a chi, dopo la scomparsa delle
congiunte, sarebbe spettata la proprietà dei diversi piani
del palazzo in San Pantalon e di un altro edificio di più
modeste dimensioni che aveva preso a costruire sullo stesso
terreno a ridosso della ca’ granda, così chiamata proprio
per distinguerla dalla seconda. Sul ridotto sviluppo
verticale di quest’ultima era stato categorico: non sarebbe
dovuta “esser alzata in niun tempo in maggior summa di
altezza di piedi trenta”. Non sarà ascoltato.
Il palazzo nel corso
dei secoli è passato in più mani e ha subito numerosi
restauri. Dal 1971 è sede ufficiale del Presidente della
Regione Veneto e della Giunta ma pare che sia stato messo
all'asta. Base 26,4 milioni di euro.
Ho fotografato questa “vera da pozzo” alcuni anni or sono durante la ricerca di luoghi dove ambientare il libro Il Signore di Notte. Il pozzo è quello della corte interna di Palazzo Balbi che a sua volta è la location dell'epilogo del thriller.
Si tratta di un edificio rinascimentale che vanta un primato e una curiosità. Primato: fu costruito in soli otto anni dal 1582 al 1590. Curiosità: tanta urgenza era dettata dall'impellenza del committente, Nicolò Balbi, di trovare una sistemazione e aveva un’ottima ragione per essere tale.
Infatti fino ad allora i Balbi avevano vissuto in affitto. Senonché le fonti riferiscono che un bel giorno Nicolò fu affrontato rudemente dal padrone di casa e accusato di essere in ritardo con la pigione. Si era trattato di una banale distrazione, ma l’intenzione di umiliare l’inquilino da parte del locatario era stata lampante, visti i loro rapporti già poco cordiali. Il Balbi l'affronto se lo legò al dito. Pagò all'istante il dovuto e diede contemporanea disdetta del contratto. Trasferì poi la famiglia, composta solo dalla moglie Chiara Barbaro e dalla sorella nubile Cornelia, su un “bucentoro” o forse un “Burchiello”, comunque un naviglio di grandi dimensioni. Nessuna preoccupazione per un’altra sorella, suor Prudentia, sparita dietro le mura di un monastero e della quale si stava occupando il buon Dio.
Per i veneziani risiedere su barconi all’ormeggio anche per lunghi periodi era una situazione abbastanza usuale. Un fatto clamoroso di adattamento a tale vita era avvenuto durante la terribile pestilenza tra il 1575 e il 1577. Ben ottomila, forse diecimila, persone supposte portatrici del contagio avevano vissuto su oltre tremila natanti ormeggiati accanto al Lazzaretto Nuovo.
Soprattutto ai benestanti non erano mai mancate imbarcazioni di vario tipo e stazza e quella adibita a residenza dal Balbi doveva essere di notevole mole tanto da oscurare la residenza dell’odiato ex locatario. Infatti Nicolò per ritorsione aveva ormeggiato la sua provvisoria dimora proprio davanti alla casa del rivale, levandole la luce del sole. Nessun cronista ha riferito se tanto fosse bastato a placare la sua stizza.
A questo punto una sistemazione più comoda era diventata urgente e Nicolò si dovette decidere a metter su casa, anzi palazzo. In contrada San Pantalon, tra Rio de la Frescada e Rio di Ca’ Foscari, possedeva un terreno con una catapecchia così malridotta che aveva scartato l’idea di andarci ad abitare facendola abbattere. Il progetto del nuovo edificio era stato affidato al trentino Alessandro Vittoria, architetto e scultore giunto a Venezia da Trento nel 1543 per lavorare nello studio del grande Jacopo Sansovino fino a subentrargli dopo ventisette anni. Cosicché, quando il Balbi aveva affidato al Vittoria la progettazione del palazzo, il trentino, ormai maturo come architetto, si era buttato a capofitto nell’impresa. Peraltro i grandi maestri del secolo erano ormai passati a miglior vita e solo lui era rimasto ancora attivo, una scelta quasi obbligata da parte del committente.
La prima pietra era stata posata nel 1582 e nel 1590 l’edificio era pronto per essere abitato, otto anni, un primato nell’erezione di un palazzo a Venezia. A costruzione ultimata erano apparse manifeste nel prospetto ispirazioni al Sansovino, quali le sei monofore ovali del sottotetto, e al Palladio, ma anche ad altri maestri come lo Scamozzi e Guglielmo dei Grigi. Tradizione rispettata nei pilastri angolari a ordini sovrapposti e svoltanti nelle facciate laterali; però alcune novità avevano precorso i tempi suscitando critiche: qualcuno si era azzardato a definirne una di queste “scorretta e licenziosa”. Verosimilmente si era riferito ai timpani ad arco o rette che rifinivano porte e finestre laterali, interrotti da eleganti anfore e da pannocchie stilizzate. La ricchezza dei Balbi era stata simboleggiata dagli stemmi infilati tra composizioni di frutta con piena soddisfazione del committente.
Tuttavia Nicolò aveva goduto poco di quella che aveva chiamato la “ca’ granda” perché morto a cinquantuno anni nel luglio del 1591. In precedenza, nel 1572, aveva preso in moglie Chiara Barbaro, matrimonio deciso con grande coraggio. Infatti Chiara si era lasciata alle spalle una famiglia paurosamente trafitta dalla tragedia perché suo padre Zaccaria, allora luogotenente nell’isola di Cipro, nel 1561 era stato ucciso insieme al figlio Daniele da Lucrezia Minio, sua moglie da trent’anni.
Nicolò aveva nutrito grande affetto per Chiara, un affetto misto a compassione per la tragedia che aveva segnato la vita della consorte. Per lo più avevano dovuto affrontare a loro volta la sfortuna di non avere figli.
Circa il patrimonio, sentendosi vicino alla morte, Nicolò aveva steso un testamento meticoloso chiuso pochi giorni prima di spirare per un non meglio precisato malanno, tanto che nei necrologi di sanità del poveretto si era scritto “… da febre”, formula usuale quando non si sapeva a cosa dar la colpa di un decesso. Aveva disposto con pignoleria come suddividere beni mobili e immobili e a chi, dopo la scomparsa delle congiunte, sarebbe spettata la proprietà dei diversi piani del palazzo in San Pantalon e di un altro edificio di più modeste dimensioni che aveva preso a costruire sullo stesso terreno a ridosso della ca’ granda, così chiamata proprio per distinguerla dalla seconda. Sul ridotto sviluppo verticale di quest’ultima era stato categorico: non sarebbe dovuta “esser alzata in niun tempo in maggior summa di altezza di piedi trenta”. Non sarà ascoltato.
Il palazzo nel corso dei secoli è passato in più mani e ha subito numerosi restauri. Dal 1971 è sede ufficiale del Presidente della Regione Veneto e della Giunta ma pare che sia stato messo all'asta. Base 26,4 milioni di euro.
Gustavo Vitali
Nella foto: la “vera da pozzo” del cortile interno di Palazzo Balbi a Venezia